Narnese nato nel 1810 viene fucilato il 10 Agosto 1849 insieme a Ciceruacchio
Vita di Francesco Laudadio
tratta dal testo del Generale Ubaldi
scritto nel 1970
Nato a Narni nel 1810 , dopo aver frequentato la scuola
degli Scolopi , andò a lavorare con il padre che faceva il vetturale.
Nel 1840 è a Roma e nel 1843-44 lo troviamo postiglione nel tratto
Roma-Civitavecchia-Spoleto.
Come racconta il Martinori, il 5 ottobre 1847 passò a Narni , per sostare la notte ,
il celebre popolano romano Angelo Brunetti detto Ciceruacchio , in compagnia di 4 suoi
amici, tra cui il nostro Laudadio, fu festeggiato dai liberali per la sua venuta ed ebbe
ospitalità gratuita in casa Sacripante. Essendo il Cardinale Gabriele Ferretti ,
segretario di Stato ,(cugino di papa Pio IX) venuto a villeggiare dai conti Catucci nella
loro villa di SantAngelo in Massa, Ciceruacchio si recò colà, il giorno 6 per
fargli visita.
Angelo Brunetti detto Ciceruacchio anche
lui faceva il carrettiere.
Dopo la caduta della repubblica romana nel 1849
Garibaldi e circa 4000 garibaldini , partono da Roma
e cercano di andare in soccorso di Venezia .
In questa marcia sono inseguiti dai Francesi che
vengono da Roma e dagli Austriaci che dal nord bloccano la strada .
A tale proposito è interessante leggere
la fuga da Roma di Ciceruacchio e dei seguaci di Garibaldi .
video dal film "in nome del popolo sovrano"
Ciceruacchio
Nato a Roma da un maniscalco nel rione di Campo Marzio, di mestiere carrettiere del
porto di Ripetta, trasportando vino dai Castelli romani e poi gestendo una taverna nei
pressi di Porta del Popolo. Sembra che in età giovanile abbia esercitato la mansione di
"garzone" nel Seminario Romano all'Apollinare. Infatti nelle scale secondarie,
in una umile stanzuccia, sulla porta di ingresso è scritto a matita: "Angelo
Brunetti".
Memoria di Angelo Brunetti sulla casa in cui abitò, al 248 di via Ripetta
Di carattere brillante e molto socievole, era beneamato dal popolo romano, anche per il
suo comportamento durante l'epidemia di colera del 1837. Grazie alla sua innata capacità
dialettica che non poté mai coltivare con l'istruzione (parlava solo ed unicamente in
romanesco), divenne presto un rappresentante informale dei sentimenti popolari. Questa sua
caratteristica emerse appieno con l'avvento al soglio pontificio di Papa Pio IX nel 1846.
Egli si fece portavoce dell'ansia popolare per il ritardo delle tanto attese e promesse
riforme annunciate dal nuovo pontefice. Nel luglio del 1846, in una manifestazione di
popolo, ringraziò pubblicamente il Papa per aver concesso la libertà ai prigionieri
politici, donando alla popolazione alcune botticelle di vino ed accendendo un grande fuoco
vicino Porta del Popolo. Nella primavera e durante l'estate del 1847, Brunetti fu il
diretto organizzatore di manifestazioni popolari al fine di incitare il Papa a continuare
nel suo piano di riforme politiche all'interno dello Stato Pontificio. Nell'autunno del
1847 fece un giro trionfale in Umbria e in Sabina accolto con onori e banchetti; a Rieti
fu onorato anche dal poeta Angelo Maria Ricci[1]. Al Museo della Patria si conserva ancora
la sua giacchetta rossa con ricamata più volte la scritta "Viva Pio IX", che
allora riscuoteva grandi consensi per la sua politica "liberale".
Angelo Brunetti
Abbracciata la causa mazziniana dopo il voltafaccia del pontefice
avvenuto con l'allocuzione del 29 aprile 1848, aderì alla Rivoluzione del 1849.
Partecipò attivamente ai combattimenti contro l'assediante francese e dopo la caduta
della Repubblica Romana, nel luglio dello stesso anno, lasciò Roma con l'intento di
raggiungere Venezia, che ancora resisteva agli Austriaci, insieme a Garibaldi e ad alcuni
fedelissimi. Attraversati gli Appennini, raggiunse Cesenatico dove, requisiti alcuni
bragozzi, si imbarcò. In prossimità del delta del Po fu intercettato da una vedetta
austriaca e costretto con gli altri all'approdo. Ciceruacchio e i suoi compagni chiesero
l'aiuto di alcuni abitanti del posto per raggiungere Venezia ma questi li denunciarono
alle autorità. Brunetti fu così arrestato dagli Austriaci e fucilato a mezzanotte del 10
agosto 1849, insieme al figlio Lorenzo di tredici anni, al prete Stefano Ramorino, Lorenzo
Parodi di Genova, Luigi Bossi di Terni che era in realtà il figlio maggiore di Angelo
Brunetti (quindi Luigi Brunetti) che cambiò nome dopo essere stato accusato di essere
stato l'esecutore materiale dell'assassinio di Pellegrino Rossi, capo del governo
pre-rivoluzionario, Francesco Laudadio di Narni, Paolo Baccigalupi e Gaetano Fraternali
(entrambi di Roma).
Ciceruacchio parla a Roma
alla folla
Garibaldi, Ciceruacchio ed anche
il Narnese Laudadio Francesco , intraprendono la marcia da Roma per raggiungere Venezia.
Garibaldi lascia Roma la sera del 2 luglio con circa 4.700 volontari. All'inseguimento
partono 8.000 francesi. A sud sono schierati 9.000 spagnoli e ad est 8.000 napoletani.
(vedi filmato )
L'8 luglio Garibaldi è a Terni. Da nord stanno arrivando 20.000 uomini tra austriaci e
toscani.
Garibaldi si dirige a Orvieto. I francesi abbandonano l'inseguimento.
Gli austriaci li sostituscono.
Il 17 luglio è a Cetona in Toscana. Il 23 è ad Arezzo. Supera gli Appennini.
Garibaldi punta a raggiungere l'Adriatico e ad imbarcarsi per raggiungere Venezia dove
si combatte ancora contro gli austriaci.
Il 30 luglio è a Monte Copiolo, a mille metri di altezza. Sono rimasti solo 1.500
uomini.
Raggiunge San Marino dove scioglie i soldati, ormai ridotti a poche centinaia,
dall'obbligo di continuare nella lotta. Iniziano le trattative per la resa agli austriaci.
Con duecento fedelissimi Garibaldi lascia San Marino. Il 2 agosto si imbarca a
Cesenatico diretto a Venezia.
Gli austriaci intercettano la flottiglia dei volontari.
Garibaldi ed una trentina di volontari riescono a sfuggire alla cattura e a raggiungere
le paludi di Comacchio.
Garibaldi rimane con sua moglie Anita e con il tenente Giovan Battista Coliolo.
Il 4 agosto raggiungono Chiavica di Mezzo, sull'argine sinistro del Po. A sera, presso
le Mandriole, Anita muore per gli stenti e le malattie.
Il resto della compagnia si scioglie per cercare di sfuggire
agli austriaci.
Purtoppo, però, Saranno tutti catturati e fucilati a Ca' Tiepolo:
Ugo Bassi, cappellano dei garibaldini, il capitano Giovanni Livraghi,
Ciceruacchio con i figli Luigi e Lorenzo, oltre al narnese Laudadio Francesco.
L'episodio fu subito conosciuto nei paesi del Polesine perchè erano
presenti gli uomini che scavarono le fosse, ma ci fu confusione sulle persone dei fucilati
poichè Angelo, Lorenzo e Luigi Brunetti avevano dato cognomi falsi nei brevi
interrogatori cui tutti erano stati sottoposti. L'atto di morte figura nella
"cronistoria" della chiesa di San Nicolò che e la parrocchia di Cà Venier,
allora in Comune di Porto Viro, oggi di Porto Tolle.
Don Sante Manzetto, attuale parroco di Cà Venier custodisce il
quaderno manoscritto di quella cronistoria. La grafia e la firma sono quelle di don Marco
Sarto, parroco di quell'epoca.
Il documento dice infatti:
Lì, 11 agosto 1849 Per ordine dell' I. R. Comando Militare, stazionato
in Cà Tiepolo sino dai primi giorni del p.p. Maggio, alle ore 12 e mezzo della scorsa
notte vennero ivi fucilati, e sepolti nel luogo della eseguita fucilazione i seguenti
individui:
1. Ramorino O. Stefano, Sacerdote Genovese
2. Parodi Lorenzo, Genovese
3. Lodadio Francesco, (Laudadio, narnese)Romano
4. Fraternali Gaetano, Romano
5. Bossi Luigi,(figlio maggiore di Ciceruacchio) Romano
6. Baciagalussa Paolo, Romano
7. Bellazzi Angelo padre (Ciceruacchio)
8. Bellazzi Lorenzo (figlio minore di
Ciceruacchio), Romani
monumento a Ciceruacchio
Francesco Laudadio Porto Tolle monumento fatto
nel 1956 in ricordo dei caduti garibaldini
Monumento ai caduti garibaldini a Ca' Tiepolo
davanti alla ex caserma austriaca
Tomba di Laudadio a Roma sul Gianicolo
Alcuni anni dopo le ossa degli otti martiri, tornarono alla luce e su interessamento di
Giuseppe Manin vennero sepolti in segreto , nel cimitero di Ca Venier dove restarono
fino al 1866. Successivamente la Commissione permanente presieduta da Menotti Garibaldi,
esumò le povere ossa dei nostri eroi, che vennero trasportate a Roma e solennemente
riposte nella "tomba dei difensori della patria" eretta al Gianicolo a poca
distanza dal monumento a Garibaldi.