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Pittori narnesi del 1800


Nel  secolo moderno delle grandi rivoluzioni, vari personaggi legati a Narni si distinsero nelle arti e nella pittura, tra essi vale citare Francesco Diofebi, Erulo Eroli e  Antonio Mancini.
Francesco Diofebi (1781 - 1851)


Francesco Diofebi (Narni, Terni 1781 - Roma 1851) giunse presto a Roma dalla natia Umbria già intorno al 1800. Qui si affermò con una produzione di genere dedicata alla raffigurazione della vita popolare del tempo e contemporaneamente con dipinti che ritraggono i suggestivi scorci della Roma antica. Per queste sue capacità fu chiamato a decorare il Palazzo Torlonia già a Piazza Venezia e contemporaneamente fu apprezzato dal noto scultore Bertel Thorvaldsen che collezionò le sue opere, ora conservate presso il Thorvaldsen Museum a Copenaghen. Sempre negli stessi anni partecipò attivamente alle esposizioni della Società Amatori e Cultori delle Belle Arti con opere quali Avanzi di un portico antico, nominato di Ottavia, usato presentemente al mercato del pesce, esposta nel 1832. Le strette attinenze stilistiche con le opere conosciute di Francesco Diofebi, quali La chiesa di San Paolo fuori le mura dopo l'incendio (Roma, Museo di palazzo Braschi) o La scoperta della tomba di Raffaello (Copenaghen, Museo Thorvaldsen).

Ritornò a Narni per un breve periodo nel 1846 a causa di problemi fisici ed economici, ma poi tornò a Roma dove morì nel 1851. Di lui parleremo piu’ diffusamente durante il Terni Falls Festival 2020.
Erulo Eroli (1854 – 1916)

 Nato a Roma, parente di una nota famiglia narnese. Il pittore ebbe contatti con Giovanni Eroli, a cui fece anche un famoso quadro che lo ritrae, tale quadro ora è conservato presso la biblioteca comunale di Narni . Altre opere sono conservate presso la fondazione CARIT a Terni. 

I suoi primi studi furono presso l’Ospizio di San Michele a Roma sotto il professor Ceccarini. È stato in grado di vincere premi dal suo Istituto e dal Ministero della pubblica istruzione per Studio di un testa e tornare alla sua famiglia di un soldato ferito per la sua famiglia. La sua pittura di una baccante è stata premiata con una medaglia d’argento presso la Società delle Belle Arti di Roma. Le sue opere comprendono anche un dipinto a lume di candela intitolato Un Coro di Fanciulli e Gloria in Excelsis Ave Maria. L’altro dipinto di Eroli trovato nell’Accademia Navale di Livorno è intitolato La Palestro a Lissa, che era stato esposto all’Esposizione del 1883 a Roma.


Il soggetto fu un episodio durante una battaglia del 1866 tra le flotte italiana e austriaca. Altre opere incluse Una tigre, Cornelio Puio e alcuni ritratti del cardinale Jacobini e il Suonatore Arabo. Nel 1883, presentato da Ettore Roesler Franz e Onorato Carlandi, divenne socio presso l’Associazione degli Acquarellisti romani, dove divenne presidente nel 1909, realizzando alcune riforme tra le quali quella dello statuto.



Parallelamente intensificò l'attività dell'arazzeria, a cui si era dedicato recuperando il procedimento tradizionale ed elaborando cartoni funzionali esclusivamente alla lavorazione degli arazzi, basati quindi su una diversa necessità d'armonizzare i colori rispetto alla pittura. L'incarico più prestigioso (preceduto dai sei pannelli, oggi dispersi, per il foyer del teatro di Buenos Aires) fu, nel 1902, quello del comune di Roma per i 25 arazzi per l'addobbo esterno dei palazzi capitolini, ora al Museo di Roma di Palazzo Braschi. I pannelli più grandi, per i balconi centrali, “Stet Capitolium fulgens” di circa 40 m², “Roma communis patria” e “Ars omnium nationum”, a carattere decorativo, celebravano i trionfi della Roma classica, rinascimentale e barocca; in pannelli minori erano rappresentati gli stemmi dei rioni, le aquile romane, le tabelle con l'iscrizione SPQR. Il lavoro, di grande impegno, iniziato nel 1902, fu interrotto a causa della guerra tra il 1916 e il 1919 e completato nel 1926, dieci anni dopo la morte di Erulo, dai figli Pio e Silvio. Dal 1907 al 1911 restaurò arazzi antichi per conto dello Stato senza interrompere l'attività di pittore; a questo periodo risalgono “Ad Anita dieci anni dopo”, esposto a Santiago del Cile nel 1910 (Torino, palazzo Carignano), e “L'alba del 23 ottobre” o “I fratelli Cairoli” a villa Glori (Torino, palazzo Carignano).

 


La passione patriottica del pittore trovò ancora modo d'esprimersi nella rievocazione dell'impresa di Millo ai Dardanelli, del 1912 e nell'illustrazione della terzina della Canzone d'oltremare, dedicata da Gabriele D'Annunzio ai marinai d'Italia (presso l'Accademia navale di Livorno). Nel 1914 gli vennero commissionati cinque arazzi, oggi dispersi, con le Storie di Tito e Vespasiano per la residenza estiva della casa reale di Romania a Sinaya, completati dopo la sua morte. La scuola di arazzi crebbe anche dopo la sua morte per merito della sua famiglia ed in particolare dalle sue figlie e dai figli Pio e Silvio.

Antonio Mancini (1852-1930)


 Nacque il 14 novembre 1852 a Roma da Paolo, sarto nativo di Narni, e da Domenica Cinti, ternana. Nello stesso anno della nascita del Mancini, la famiglia si trasferì a Narni. Qui ricevette una prima formazione presso gli scolopi della chiesa di S. Agostino, e visse la sua gioventù , fino all’età di 13 anni . Sollecitato dai conti Catucci che ne riconobbero la predisposizione all'arte, Paolo inviò il figlio a lavorare presso un decoratore locale e ben presto, nel 1865, probabilmente proprio per avviarlo a buoni studi artistici, decise di trasferirsi con tutta la famiglia (la moglie e i tre figli, il Mancini, Giovanni e Angelo) a Napoli. Subito impiegato come doratore presso una bottega al vicolo Paradiso, "vicino alla casa di Giacinto Gigante", il Mancini fu messo a scuola all'oratorio dei girolamini e seguì contemporaneamente la scuola serale presso la chiesa di S. Domenico Maggiore, dove incontrò e iniziò a frequentare il coetaneo Vincenzo Gemito; presso lo studio dello scultore Stanislao Lista presero l'abitudine a disegnare da calchi antichi e soprattutto dal vero, ritraendo modelli occasionali trovati in strada e raffigurandosi l'un l'altro. Nel luglio del 1865 risulta iscritto all'istituto di belle arti di Napoli (suoi insegnanti nella scuola di disegno di figura furono Raffaele Postiglione e Federico Maldarelli), ottenendo già l'anno successivo il primo premio della scuola di figura. Come Gemito, il Mancini non si accontentò di cimentarsi nei temi accademici, ma volse lo sguardo alla realtà circostante, prendendo spunto dallo spettacolo della vita popolare; il mondo del circo, in particolare, gli fornì decisive suggestioni. L'approdo di Domenico Morelli alla cattedra di pittura dell'istituto nel 1868 rappresentò una tappa fondamentale nella formazione del Mancini il quale, pur estraneo alle principali tendenze creative e tematiche di Morelli, avrebbe condiviso col maestro, assorbendo criticamente l'orientamento antiaccademico dei suoi insegnamenti, la necessità di un'arte saldamente imperniata sui valori formali. Sollecitato da Morelli, il Mancini ebbe occasione di formarsi sulla grande pittura napoletana del Seicento, assimilando a fondo la lezione del naturalismo napoletano nelle chiese e nei musei della città. Con Francesco Paolo Michetti, anch'egli giunto a Napoli nel 1868 da Chieti, così come con Gaetano Esposito e Paolo Vetri, il Mancini strinse un forte e incisivo legame di vita e di lavoro durante i fondamentali anni di studio a Napoli.
A Londra, la galleria Knoedler in Bond street organizzò alla fine del 1928 una esposizione di ventisette dipinti e tredici pastelli del periodo inglese, nel cui catalogo era premessa la frase di Sargent: "I have met in Italy the greatest living painter". Nominato accademico di merito di S. Luca nel 1913, cittadino onorario di Napoli nel 1923 con solenne cerimonia a palazzo S. Giacomo (in quell'occasione incontrò di nuovo e per l'ultima volta Gemito), il 29 ottobre 1929 fu fra i primi a essere accolto nella neo istituita Reale Accademia d'Italia.

Ritratto del Padre  .
Eseguì nello stesso anno l'Autoritratto (collezione privata) sul quale annotò, in una sorta di sconnesso palinsesto biografico, le principali scansioni del suo percorso professionale ed esistenziale (Antonio Mancini, p. 128). Fra le ultime opere dipinte prima di morire, l'Autoritratto con turbante rosso (collezione privata). Il Mancini morì a Roma il 28 dicembre 1930. Una personale di tre sale organizzata da Cipriano Efisio Oppo (circa cinquanta opere) lo omaggiò solennemente alla I Quadrienale romana nel 1931. Nel 1935 la salma del Mancini fu traslata dal Verano alla chiesa di S. Alessio all'Aventino.

Altri pittori operarono in quel periodo a Narni e dintorni , come ad esempio Giuseppe Barilatti sindaco di Narni che oltre a varie opere affresco l'ingresso alla sala del consiglio comunale, con dipinti  dei castelli del comune di Narni . Il conte di Otricoli Arcangiolo Birelli che fu pittore ritrattista e fotografo.  Noto come ritrattista e autore di quadri storici in Italia e all'estero. Studiò a Firenze presso la Scuola d'Arte. Espose a Monaco di Baviera e San Francisco in California. Fu attivo fino agli inizi del XX secolo quando una lunga malattia limitò e poi interruppe la sua attività di artista. Inoltre pittori come Raffaele Santoro agirono nel nostro territorio . 

La pittura   tra 1800 e 1900 rivoluzionò i suoi canoni, seguendo il cambiamento della rivoluzione francese e la rivoluzione industriale, cambiando completamente anche i soggetti dipinti, che divennero paesaggi e ritratti di vita quotidiana, sostituendosi, in gran parte, alla tradizionale committenza di soggetti sacri.





Collegamenti :
http://www.narnia.it/quadro.html

https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/
http://www.treccani.it/enciclopedia/erulo-eroli
https://www.kijiji.it/annunci/antiquariato/perugia-annunci-foligno/
https://www.deartibus.it/drupal/content/mancini-antonio
http://www.narnia.it/turner.html
http://www.narnia.it/risorgimento/barilattigiuseppe.html


 


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