Pittori
narnesi del 1800
Francesco Diofebi (1781 - 1851)
Francesco
Diofebi (Narni, Terni
1781 - Roma 1851) giunse presto a Roma dalla natia Umbria
già
intorno al 1800. Qui si affermò con una produzione di genere
dedicata alla raffigurazione della vita popolare del tempo e
contemporaneamente con dipinti che ritraggono i suggestivi scorci della
Roma antica. Per queste sue capacità fu chiamato a decorare
il
Palazzo Torlonia già a Piazza Venezia e contemporaneamente
fu
apprezzato dal noto scultore Bertel Thorvaldsen che
collezionò
le sue opere, ora conservate presso il Thorvaldsen Museum a Copenaghen.
Sempre
negli stessi anni partecipò attivamente alle esposizioni
della Società Amatori e Cultori delle Belle Arti con opere
quali
Avanzi di un portico antico, nominato di Ottavia, usato presentemente
al mercato del pesce, esposta nel 1832.
Le
strette attinenze
stilistiche con le opere conosciute di Francesco Diofebi, si notano
anche in molti quadri presenti in vari musei del mondo.
quali
La
chiesa di San Paolo fuori le mura dopo l'incendio (Roma, Museo di
palazzo Braschi)
o
La scoperta della tomba di Raffaello (Copenaghen,
Museo Thorvaldsen).
altre sue famose opere sono
Diofebi Cantante
Accanto
alla pittura il Diofebi coltivò il canto,
attività che svolse con considerevole successo. Il suo
ingresso nel mondo musicale ebbe luogo intorno agli anni Dieci a Roma,
come egli stesso riferisce (Eroli, 1858), presso tale maestro Manzoli.
La città di Roma offriva molte occasioni di incontri
letterari e musicali, come quelli in casa dell'incisore T. Piroli, a
cui partecipavano il Monti, il Camuccini, l'Appiani, il Canova, la
Kauffmann (cfr. Hartmann, 1978, p. 30).
Negli anni precedenti al 1816 venne assunto come tenore dalla compagnia
namense Valentetti, con la quale si esibì a Narni, Terni,
Spoleto, Perugia e Assisi.
Tornato a Roma nel 1816, prese parte alla stagione del carnevale del
teatro Tordinona dal 26 dic. al 17 febbr. 1817, nell'opera burlesca I
Ganimedi derisi, su testo di P. Grappelli e musica di G. Rosi
(A. Cametti, Il teatro Tordinona, poi di Apollo, Tivoli 1938, II, p.
424). La stagione operistica del teatro Argentina, nel carnevale del
1822-23, lo vide sostenere una parte nell'Eufemio di Messina di M.
Carafa, accanto al tenore G. David e al soprano Santina Ferlotti, e il
ruolo di Serano ne La donna del lago di G. Rossini (cfr. M. Rinaldi,
Due secoli di musica al teatro Argentina, II, Firenze 1978, pp. 599,
603). Il D. fu anche cantore di cappella, prima a S.Pietro nel 1816 e
nel 1820 a S. Maria Maggiore: per questa attività in seguito
godette di una pensione (Hartmann, 1978, p. 52).
Apertura
tomba
Raffaello Sanzio al Phanteon
anno
1833
questo
dipinto di Diofebi
resta
famoso per la presenza di tanti personaggi
illustri
che furono ritratti nel famoso dipinto
ora
esposto al museo di Danimarca
Nel
1833, la tomba di Raffaello nel Pantheon fu aperta per
porre fine al dibattito permanente sul fatto che fosse davvero il suo
teschio a
essere in possesso dell'Accademia di S. Luca. HC Andersen ha la fortuna
di
arrivare il 18 ottobre 1833 in tempo, così da avere il tempo
di assistere alla
cerimonia di chiusura e sigillatura della tomba. Ha "visto Thorvaldsen
con
una candela di cera in mano come gli altri primi uomini".
Thorvaldsen
ha anche partecipato all'apertura e alle
indagini della tomba il 14 settembre. Probabilmente voleva un monumento
commemorativo e ordinò il dipinto a Diofebi,
perché il dipinto è datato 1836,
cioè tre anni dopo l'evento. Si tratta davvero di
un'immagine storica,
in quanto raffigura una situazione particolare non ricorrente, e con la
partecipazione di personaggi nominati, più o meno
chiaramente rappresentati.
Tuttavia, si può difendere per essere definito una
rappresentazione della vita
popolare, purché un evento pubblico sia anche una parte
della vita popolare ed
è di tipo lontano dal solito quadro storico.
È
un sobrio reportage del momento in cui il chirurgo, barone Antonio
Trasmondi,
ha fornito una descrizione anatomica dello scheletro visto nella volta
della
tomba, illuminato da una torcia. Il segretario, P. Mazzocchi, scrive il
suo
racconto, alla presenza del cardinale vicario Zurla Rivaroh, il cui
titolo
chiesa era il Pantheon, e del governatore di Roma, monsignor Grimaldi.
Sono
state coinvolte in totale 75 persone e di queste Diofebi ha
presumibilmente
selezionato i personaggi principali più importanti. Oltre ai
membri seduti
della chiesa e del governo, si vede l'abate Carlo Fea in piedi con il
cappello
sotto il braccio. Aveva svolto un ruolo importante nell'intera
discussione
sulla tomba di Raffaello. Inoltre, lo scultore Giuseppe Fabris era
presente in
rappresentanza dell'Associazione dei Virtuosi del Pantheon; marchese
Luigi
Biondi, presidente della Società Archeologica e Gaspare
Salvi dell'Accademia di
San Luca. Inoltre, Thorvaldsen è facilmente riconoscibile
nel gruppo di destra
e Camuccini e Horace Vernet, allora direttore dell'Accademia di
Francia, a
sinistra. Camuccini affronta Vernet. Questa iniziativa non fu presa da
un pittore né da un architetto ma da uno scultore, Giuseppe De
Fabris, veneto come lo era il papa del tempo Gregorio XVI presente alla
cerimonia.
Tra
i personaggi più famosi ritratti nel dipinto:
Papa Gregorio XVI
Bertel
Thorvaldsen principe della Accademia di San Luca
Giuseppe De Fabris, Accademia dei Virtuosi del
Phanteon
Il
chirurgo Antonio Trasmondo
il formatore di calchi Camillo Torrenti
Antonio Chimenti
chirurgo
Raffaello
Camuccini amico e sostenitore di Diofebi
Camuccini,
oltre al dipinto sopra citato, è presente nelle collezioni
dei Virtuosi
con
i celebri disegni dello scheletro di Raffaello, eseguiti
nel momento della sua
riscoperta,
su invito di De Fabris. Quei disegni furono
offerti alla Congregazione
il
5 ottobre 1833, «in attestato di affettuoso
ossequio», ma poi
ripresi
e di nuovo depositati da Ferdinando Raimondi Kukel
il 9 dicembre 1855.
Camuccini
infatti non
volle separarsene in
vita,
come ricorda il suo biografo: «Codesti due disegni
fatti da me con tanto affetto
in
ricordo di quel genio sublime, si conservassero
scrupolosamente in mia famiglia,
essendo
attaccatissimo alla memoria di quel genio!» .
Gli
schizzi furono eseguiti il 15 settembre 1833, il giorno
seguente la scoperta
dello
scheletro di Raffaello nel Pantheon, e il 16
settembre, dopo la sua pulizia e
ricomposizione,
misurato
dal chirurgo Antonio Trasmondo con un grande compasso
a
curve ritorte, che ne rilevò una lunghezza di circa 167
cm. L’altezza di Raffaello
fu
quindi specificata nella sua equivalenza di «otto
faccie», per indicare che
la
testa era uguale a un ottavo dell’altezza, richiamando
indirettamente la perfetta
proporzione
del Canone di Policleto.
Scheletro
di Raffaello Sanzio sec.
XIX
1833
Stampa,
cm 33,7 x 21,7; cartone cm 48,2 x 35,5 (con
cornice: 53,5 x 40,5)
Iscrizioni,
sulla litografia, in calce a sinistra: Vincenzo
Camuccini dis. dal vero
La
memoria di Raffaello e la ricognizione del suo sepolcro
nel 1833, promosso
dal Reggente
Giuseppe De Fabris, sono testimoniate nella
raccolta dei Virtuosi da
alcuni
reperti di valore storico, che costituiscono una
piccola sezione e che attestano
l’importanza
nell’Ottocento del mito dell’Urbinate.
L’origine
degli scavi ruota intorno all’identificazione del
teschio di Raffaello. La
disputa
sulla sepoltura del Sanzio, se nella chiesa di Santa
Maria ad Martyres o in
quella
di S. Maria sopra Minerva, fu risolta il 14 settembre
1833, con il rinvenimento
delle
spoglie mortali dell’artista sotto l’altare della
Madonna del Sasso. Per conservare
un
ricordo dello storico avvenimento, De Fabris ottenne il
permesso di realizzare un
calco
del cranio, orgoglioso contraltare alla reliquia in
possesso dell’Accademia di S.
Luca,
fino ad allora attribuita all’Urbinate. Insieme
al teschio fu preso anche il
calco
delle ossa della
mano destra dell’artista (inv. 212), ritenuta quella da lui
usata per
dipingere,
come illustra la
copiosa produzione di quadri storici ottocenteschi che lo
ritraggono
all’opera, oltre al calco della laringe, trovata
incredibilmente intatta. Ma
l’interesse
maggiore si concentrò sui primi due reperti, essendo
cervello e mano
strettamente
connessi: le
capacità manuali sono infatti un’estensione delle
facoltà intellettuali,
da
cui ha origine l’atto creativo dell’artista,
celebrato da
Michelangelo nel
famoso
verso: «la man che ubbidisce
all’intelletto» .
Quindi,
per ottenere una prova dello storico ritrovamento
raffaellesco, ma anche
per
consentirne lo studio, fu incaricato
un noto formatore d’opere d’arte, Camillo
Torrenti, ben
conosciuto da Giuseppe De Fabris, di prendere
alcune impronte dei
resti
ossei di Raffaello. Le operazioni si svolsero davanti
alla tomba nel Pantheon,
fra
il 10 e il 16 ottobre 1833, sotto lo sguardo vigile dei
chirurghi Antonio Trasmondo
e Antonio Chimenti e
di una ristretta commissione.
Nel
mese di luglio 1855 tutti i calchi e le copie, fino ad
allora conservati in casa
116
del Reggente De Fabris, che li aveva resi disponibili
alla curiosità degli intellettuali.
Altri
parenti a Narni, per la famiglia Diofebi, si imparentarono con i
Barilatti come si ritrova anche in alcuni documenti
relativi a Palazzo Diofebi a Narni
Una
biografia di Diofebi è riportata anche in
Alcuni
importanti quadri di Diofebi sono attualmente
presso
il Thorvaldsen Museum a Copenaghen.
Un bel
quadro è ancora in possesso del comune di Narni
Lettera
di Francesco Diofebi
al
Marchese Giovanni Eroli
Caro
signor Marchese.
Rispondo
alla tua ultima lettera del 1 dicembre, in cui mi
chiedi informazioni sulla mia vita.
L'ora
della mia nascita è nel 1782; Dico sul serio, e si
può
trovare nella parrocchia di Santa Maria Impensole, dove sono stato
battezzato
tutto Monsignor Meloni. 1 Nell'anno 1805 ho preso una moglie con la
quale ho
vissuto in pace e tranquillità fino al 1836, quando l'ho
persa.
Si
chiamava Fortunata
ed era figlia di un avvocato di nome Francesco Bocciarelli. 2 Con lei
ho avuto
otto figli, Maria Teresa e Pietro, che sono morti, Giovanni e Giacinta,
che
sono sposati. Carolina, Caterina, Elena e Metilde vivono.
Sono
venuto a Roma nel 1800 e ho iniziato a praticare l'arte
della pittura con un pittore di nome Vincenzo Ferreri, e mio padre ha
pagato il
mio soggiorno presso lo stesso maestro; durò tre anni, ma
poi il mio povero
padre non poteva più pagare a causa delle circostanze, e per
guadagnarmi da
vivere dovetti iniziare a lavorare con alcuni pittori di
guazzo.
Ma quando
il
mio amore per l'arte era troppo forte, dopo qualche tempo ho iniziato a
imparare dal famoso cavaliere Landi, un uomo eccellente, e sono rimasto
lì per
altri quattro anni. Ma quando non potevo più nutrirmi,
dovevo di nuovo lavorare
con gouache e tempera; e ho fatto dei ritratti in miniatura, un genere
in cui
avevo guadagnato un po 'di sicurezza, poiché mi succedevano
facilmente ed erano
molto simpatici, motivo per cui avevo sempre molto da fare, soprattutto
per gli
stranieri, ed erano ben pagati con me.3 e con lui sono rimasto per
circa un
anno, quando le mie circostanze non mi hanno più permesso di
farlo.
Non
è passato molto tempo prima che quando venivo in alcune
case dove c'erano giovani che si divertivano a cantare, per non fare
una figura
stupida, mi davo a studiare musica con un maestro Manzoli, che
è ancora vivo, e
ci sono riuscito davvero bene;
così
quando il padre del maestro Valentetti è
venuto a Roma per formare una compagnia per il teatro a Narni, ha
voluto
ascoltarmi, e subito mi ha adottato come primo tenore e mi ha portato
lì, da
dove sono venuto a Terni, poi a Spoleto, a Perugia e ad Assisi
. Sono stato
poi chiamato a Firenze, ma mia moglie non ci andava per amore dei due
figli che
già avevo, così sono tornato a Roma, dove, ancora
come primo tenore, ho cantato
tre volte al teatro Valle, una volta come primo tenore al teatro
bordinone e
due volte come secondo tenore con il celebre david al teatro argentina.
Nel 1816 sono entrato nel coro di
San Pietro, ma quando ero
stanco e spesso assente, ho dovuto smettere dopo due anni e mezzo. Nel
1820
sono entrato a far parte del coro di S. Maria Maggiore, e lì
ho lavorato per
ventidue anni e mi sono guadagnato un'ottima reputazione.
E dopo la mia
sfortunata malattia ero in pensione, cosa che sono
ancora;
e ho cantato in
tutte le chiese di Roma, con mio grande onore e soddisfazione.
Durante
il periodo in cui praticavo la musica, quindi, nulla
mi vietava di lavorare nella mia professione di pittore, e ho servito
soprattutto molti stranieri, tra cui l'inglese Lord Chiner nel 1816,
per i
quali ho eseguito vari piccoli quadri di vita popolare, costumi e
prospettive
romane;
tre anni consecutivi,
cioè 1824-25-26, ho lavorato per la principessa
russa Galitzin e ho dipinto molti quadretti di diverse dimensioni,
cioè à tre
palmi [manette], due palmi ecc. che mostrano costumi e prospettive
romane, e
una foto di ca. sei palme e mezzo romane raffiguranti l'interno della
celebre
Basilica di San Pietro, opera molto faticosa pagata con 300 scudi; per
il
principe Sergio Galitzin ho realizzato quattro quadri di dimensioni
simili,
cioè cinque x tre e mezzo palme romane, raffiguranti
l'interno delle tre
significative chiese patriarcali di Roma, cioè S. Pietro, S.
Giovanni in
Laterano e S. Maria Maggiore, e come la quarta la bella Piazza San
Pietro, per
S. Paolo era già distrutta. Ai professori che li hanno visti
è piaciuto
immensamente e mi hanno pagato 600 sc .; ora sono in Russia.
Nel 1828
ho eseguito lo stendardo di S. Bernardino per la
mia città natale.
Nel 1831
realizzai per il duca D. Marino Torlonia un quadro,
raffigurante l'interno di S. Lorenzo fuori le mura fuori Roma,
interamente con
costumi quattrocenteschi, nella misura 5 palmi x 4; si trova nella sua
galleria
ed è stato pagato con 50 luigi d'or.
Allo
stesso duca ho dipinto il suo
ritratto con la duchessa ei suoi figli, tutto ad acquerello, di cui ho
avuto
molto onore; lo stesso ha anche alcune delle mie miniature in diverse
dimensioni.
Nel 1835
ho dipinto una camera nel palazzo del principe D. Alessandro Torlonia
dove hanno lavorato i migliori artisti di Roma, ovvero il romano
Cochetti,
Coghetti da Bergamo, cavalier Podesti, cavalier Carta, Cavalier
Bigioli,
Chierici, Carretti ecc. Contemporaneamente ho dipinto a tempera. undici
immagini di varie dimensioni, raffiguranti vita popolare e costumi
romani; sono
stati pagati con 200 sc.
Per il famoso scultore
Thorvaldsen, ho realizzato vari
piccoli quadri di diverse dimensioni in tempi diversi, e ora sono in
Danimarca.
Quindi,
in breve, questi sono i piccoli avvisi della mia
vita che la tua gloria desidera. Spero di aver soddisfatto il tuo
desiderio e,
in attesa del tuo favore, lo attiro con riverenza.
Exalted
Your Glory
Roma 5
giugno 1847
Diofebi
Ritornò
a Narni per un
breve periodo nel 1846 a causa di problemi fisici ed economici, ma poi
tornò a Roma dove morì nel 1851.
Di
Diofebi e Thorvaldsen
parleremo
piu’ diffusamente durante il Terni Falls Festival 2021.
Consigliamo
anche di leggere il libro di Laura Moreschini sul pittore Diofebi
Collegamenti
:
http://www.narnia.it/musica.html
http://www.narnia.it/turner.html
http://www.narnia.it/quadro.html
http://www.narnia.it/campana.html
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