Clareni
Eretici e Fraticelli
San Francesco
d’Assisi a Narni e i suoi seguaci
Dopo il 1213 Narni non fu più la stessa, tale data segna un
punto di grande cambiamento ed è la data della venuta a Narni di Francesco
d’Assisi, che con la sua predicazione porterà nei secoli successivi una vera
rivoluzione culturale e religiosa.
I segni più evidenti ed immediati furono tra i suoi seguaci
più radicali che portarono ai protomartiri della terra di Narnia che daranno
poi ben cinque santi alla nostra terra, che altempo comprendeva anche
Stroncone. Calvi, Aguzzo, san Gemini oltre alla nostra città. I protomartiri
morirono in Marocco per mano dei mussulmani nel 1220, ma con il loro messaggio
porteranno un portoghese a diventare Sant’Antonio da Padova. Ma molti altri
seguirono nei secoli successivi il messaggio di Francesco e nacquero tante
correnti di pensiero che sfociarono in ordini religiosi di tanti tipi. Quindi i
francescani si divisero in osservanti e conventuali, ma anche Cappuccini,
Clareni, fraticelli di ogni tipo, che invasero tutto il territorio; dallo
Speco, ai cappuccini vecchi e nuovi, dalla Madonna del Piano a san Girolamo,
passando ovviamente per il centro di Narni con la chiesa di san Francesco.
Nel 1400 poi si
assiste al vero esplodere del mondo
francescano che da ordine di ribelli, arriva al potere , prima con San
Bernardino da Siena, che riforma e struttura l’ordine in tutta
Italia, poi con Papi Francescani che diventano importanti a Roma.
Ed i nostri protomartiri della terra di Narnia diventeranno santi nel 1481. Anche
le donne seguono il messaggio francescano con le Clarisse e il messaggio di
santa Chiara, con tante altri ordini minori e le terziarie francescane. Quindi
una vera rivoluzione che proseguirà anche nei secoli successivi con personaggi
importanti per Narni come padre Mautini e durerà poi anche nel 1600 e 1700 per
arrivare con alterne fortune fino ai giorni nostri.
Ricerca di Rodolfo Ciuffoletti
CLARENI
I Clareni erano una congregazione dell'ordine di S.
Francesco che aveva avuto la sua origine dai Poveri Eremiti Celestini i
quali, per vivere secondo la purezza della regola di S. Francesco, nel
1294, coll'autorità e approvazione del pontefice Celestino
V, si erano separati dai M.M. Osservanti mutando anche
l'abito. Presero il nome da frate Angelo da Cingoli, dei Poveri
Eremiti, insigne per la sua pietà e dottrina.
Il papa definì Angelo Clareno come un idiota e quasi di
nessuna lettera: “...hominis, vid. Angeli della valle
Spoletana, idiota utique et quasi litterarum ignari qui se caput seu
magistrum ipsorum nominavit...”, ma si sa che egli fu
traduttore dal greco e autore di commenti alla regola di S. Francesco.
Durante il papato di Giovanni XXII (1316-1334), una grande stagione
repressiva, definita “l'età dei
processi” evidenzia il contrasto tra il Pontefice (a quel
tempo residente ad Avignone) e l'imperatore Ludovico il Bavaro, alla
cui corte erano alcuni prestigiosi frati minori quali Michele da
Cesena, Bonagrazia da Bergamo e Guglielmo d'Ockham; un contrasto
radicalizzatosi sul suolo italiano. Attraverso l'accusa di
eresia, l'opposizione politica viene combattuta utilizzando gli
inquisitores heraeticae pravitatis, soprattutto nei territori
sottoposti alla giurisdizione inquisitoriale dei frati minori
dell'Italia centrale.
In questo clima di persecuzione anche i Clareni, come i Fraticelli,
vennero accusati, come eretici, di minare l'unità e
l'ortodossia della fede.
Il nuovo atto di accettazione dei Poveri Eremiti in seno alla Chiesa
Cattolica è da collocarsi nei primi mesi del pontificato di
Bonifacio IX (1389-1404), quando ai penitenti di vita comunitaria
vennero estesi, in un ristretto ambito territoriale, il più
delle volte coincidente con quello diocesano, i privilegi che
caratterizzavano gli altri ordini mendicanti. Un documento ritrovato
nell'archivio notarile di Spello rende esecutiva una precedente
disposizione contenuta nel privilegio apostolico Decet Sanctam del
1391, diretto da Bonifacio IX ai vescovi delle diocesi di Fermo,
Foligno, Camerino, Spoleto, Narni, Amelia e Ascoli.
Il Decet Sanctam, pur essendo concepito per proteggere ottantanove
Poveri Eremiti viventi cattolicamente sotto l'obbedienza al papa non
contiene il nome di Angelo Clareno ed è indirizzato ai soli
vescovi posti a capo delle circoscrizioni ecclesiastiche di
Fermo, Camerino, Spoleto, Narni, Amelia, Ascoli e delle corrispondenti
fraternità eremitiche.
Il documento risponde ad una richiesta d'aiuto avanzata dalle sole
fraternità finite nel mirino degli inquisitori operanti
nella Marca di Ancona e nella provincia di S. Francesco. Nel documento
vengono nominati quattro eremi della diocesi di Narni: Sancti Johannis
de Casatono, Sancte Marie de Silva, San Silvestro de Specu e Sancti
Symeonis di Stroncone. Il documento autorizza i vescovi posti a capo
delle rispettive fraternità ad intervenire a difesa dei
Poveri Eremiti con autorità apostolica, che si antepone ai
privilegi conferiti agli inquisitori domenicani e francescani e alle
costituzioni in contrasto col presente provvedimento. D'ora in avanti,
conclude il documento, i Poveri Eremiti potranno essere scomunicati o
sospesi solo da provvedimento emanato dalla Santa Sede Apostolica.
Da: “L'eremo di S. Maria di Capodarco alla Foresta, la
presenza dei frati della Societas di Angelo Clareno nella
documentazione apostolica del XIV e XV secolo” - SANCRICCA.
La bolla Decet Sanctam comprende un elenco di persone ecclesiastiche
poste dal papa sotto la tutela dei vescovi destinatari del
provvedimento, che di nuovo erano tornate dal Pontefice per implorare
la protezione apostolica in quanto costrette a sopportare pesanti
ingiurie e indebite molestie imposte dagli inquisitori. Nell'elenco i
primi dieci religiosi, probabilmente elencati in ordine di
anzianità, erano presbiteri, i restanti settantanove,
precisa il documento, erano dei semplici laici: “Sane
dilectorum filiorum...Dominici de Narnia,...Basilii de
Narnia,...Matheutii de Narnia, presbiterorum;...Petri de Narnia,
Antonii de Narnia, Andreae de Narnia, Iohannis de Narnia, Iohannelli de
Narnia, Menicutii de Narnia”.
In un testamento del 1391, rogato dal notaio Vannelli, si legge tra
l'altro: “...reliquit pauperibus et fraticellibus locorum S.
Maria de Silva, de Casectono et de Sancto Moro existens...et districtum
Narnie”.
1414 – Luciana, figlia del fu Petrus Gentilucii Ciellaroni e
moglie di Iuvenalis Gemeni Paulelli nel suo testamento lascia 20 soldi
cortonesi, ogni anno per sempre, ai fraticelli di Casactono pro
adiutorio vestimentorum.
Da una supplica ad Eugenio IV si apprende che i pauperes eremiti de
societate seu congregatione fratris Angeli Chiarini della diocesi di
Narni, dimoranti negli eremi di S. Maria in Silva e S. Giovanni de
Cesato, erano interessati alla gestione di un ospedale loro lasciato
per testamento. Pertanto chiesero al Pontefice di mandare in esecuzione
un testamento in forza del quale si sarebbe dovuto costruire un
ospedale da affidare alla loro gestione. Il Pontefice, il 9 novembre
1446, scrisse al vescovo di Narni, perchè investigasse sul
caso ed eventualmente costringesse gli eredi a soddisfare quanto
chiesto dai Clareni. Da quest'ultimo documento risultava che i Poveri
Eremiti, dimoranti nei dintorni di Narni, si erano rivolti al Pontefice
per il mancato adempimento degli obblighi spettanti ad un certo
Menichello di Giorgio, un laico al quale era stata affidata, a titolo
di enfiteusi, parte dei beni appartenuti al defunto Paolo Iocii, i cui
proventi, per volontà del testatore, dovevano essere
impiegati per l'edificazione di un ospedale ad uso dei Poveri Eremiti.
Da: “I Fratres di Angelo Clareno, de Poveri Eremiti di papa
Celestino e frati minori della provincia di San Girolamo de Urbe
attraverso la genesi del terz'ordine regolare di S.
Francesco” - SANCRICCA.
Le società o congregazioni di frati, in questo caso i
Clareni, non potevano accettare donazioni di beni immobili, ne'
eventuali lasciti in grado di produrre un reddito fisso, quindi i
benefattori desiderosi di cedere un terreno o una casa ad uso dei
religiosi della societas, erano costretti a farlo mediante un
intermediario, che, sul piano giuridico, ne acquistava il diritto di
proprietà o di juspatronato (confraternite, ospedalieri,
etc.). Eclatante è il caso del presbitero Paolo Iocii di
Narni, che agli ospedalieri di S. Giacomo aveva lasciato un certo
numero di beni immobili in grado di produrre un reddito annuale, da
utilizzare per la costruzione di un hospitium ad uso dei Poveri Eremiti.
Da: “La genesi dell'istituto dei frati minori di vita
eremitica, un tentativo mancato mirante alla restaurazione della
Societas di Angelo Clareno”. - SANCRICCA.
1471 - Il notaio narnese ser Nicholaus Angelus Matheuccii, figlioccio
di domina Gaietana domini Angeli, nel fare testamento stabilisce che
gli eredi debbano pagare due fiorini ai frati eremiti del romitorio o
chiesa di S.Giovanni de Cisattone.
Nel circondario di Narni i Clareni abitavano due insediamenti affidati
ad una unica comunità: l'eremo di Santa Maria de Silva o
della Salvetta, abbarbicato sulle pendici del monte S. Croce e
l'ospedale di S. Giovanni Cesato, dislocato lungo la Flaminia, nei
pressi dell'abitato di Stifone. Ambedue i conventi vennero abbandonati
all'atto della soppressione della Provincia di S. Girolamo, tuttavia,
in base alle disposizioni del 1568, i beni di S. Maria da Silva furono
venduti e i proventi acquisiti dagli Osservanti del convento urbano di
S. Girolamo (1571).
Da: “La definitiva incorporazione dei fratres di Angelo
Clareno nell'osservanza cismontana” - SANCRICCA.
Il cardinale Berardo Eroli aveva dimostrato sin dall'inizio di tenere
moltissimo al complesso di S. Girolamo, tanto da arrivare a costringere
gli Osservanti a stabilirsi in quella sede. Tutto ciò
presumibilmente al fine di proteggere il territorio narnese dal
pericolo di diffusione di quei piccoli focolai
“eretici” rappresentati dalle nuove
comunità di Clareni che, poste sotto la giurisdizione dei
vescovi, ma caratterizzate da una posizione sempre piuttosto centrale
all'interno della Chiesa, si erano insediate in questo periodo
nell'Italia centrale e in particolare nelle diocesi di Spoleto e Narni.
1483 – Una devota immagine della beata Vergine del Piano di
Narni faceva molti miracoli, si trovava sull'antica strada che andava a
Capitone ed era perciò molto frequentata. Il magistrato e i
cittadini decretarono di costruirvi un cenobio per consegnarlo ai frati
della congregazione dei Clareni, sotto l'obbedienza del Ministro
Generale degli infermi. Fu quella costruzione cominciata sotto il
titolo di Santa Maria del Piano, con il permesso di Sisto V.
Il Gonzaga dice che fu edificato da Angelo Cesi, cittadino narnese, per
i frati Osservanti e che in successo di tempo divenne in possesso dei
Clareni. Forse Angelo Cesi fu uno dei più zelanti coadiutori
e contributori di quell'edificio, che nell'anno 1568 fu, non
restituito, ma concesso ai frati Osservanti, così dice il
Wadding nei suoi annali dei frati minori.
Ultimato l'edificio vi furono messi otto frati.
Nel 1568, per ordine di Pio V, il convento dei Clareni di S. Maria del
Piano passò ai frati Osservanti.
1660 – Il padre Sambuca, generale dell'ordine dei Minori
Osservanti, nel passare da Narni per recarsi in Spagna, nel 1660, ad
istanza di monsignor Castelli vescovo, accondiscese che i frati
dell'Ordine rinunciassero al convento ed alla chiesa della Madonna del
Piano e la consegnassero a lui stesso che, più tardi, li
diede in prebenda ai canonici della cattedrale. I frati lasciarono
chiesa e convento l'anno seguente ed i mobili, compresa la grossa
campana, furono trasportati nel convento di S. Girolamo: “In
questa congregazione s'eseguisce l'ordine del ministro generale
Sambuca, lasciandosi affatto il convento del Piano di Narni. Li mobili
sono portati in S. Girolamo e particolarmente la campana
grossa”.
Il convento di S. Maria del Piano venne lasciato dai frati nel 1661 e
non si ha alcun documento che ne specifichi il motivo. Un'ipotesi
può essere suggerita da una lettera della congregazione dei
religiosi, datata 23 ottobre 1661, nella quale si rammenta come gli
Osservanti vi abbiano rinunciato, perchè avevano in
città anche il convento di S. Girolamo. Con la medesima
lettera, avendo la Congregazione accolto la rinuncia, si esortava il
vescovo di Narni a controllare che i frati, entro dieci giorni,
portassero via tutte le suppellettili sacre e profane, lasciando alla
chiesa solo il necessario per celebrare. Al vescovo e al capitolo della
cattedrale di Narni veniva lasciata facoltà di decidere se
demolire o meno la chiesa affinchè non cadesse in mano di
uomini di malaffare.
Da: “Convento di S. Maria del Piano” - SIUSA.
ERETICI
A far data dal pontificato di Innocenzo III l'eresia,
pressochè svuotata di ogni aspetto dottrinale, si definisce
e viene a coincidere con ogni sorta di disobbedienza alla Chiesa
Romana. La presenza di fenomeni ereticali, che accomuna Narni ad
Orvieto e Viterbo, va letta alla luce delle spinte
autonomistiche e interpretata come indizio della crescita di
importanza del Comune.
Il lodo di InnocenzoIII “Istrumentum de restituendis damnis
omnibus castrorum” ordinava, tra l'altro, l'espulsione degli
eretici da Narni: “Item precipimus quod paterinos et
quoslibet alios hereticos de vestra expellatis et destruatis
domos eorum nec ipsos scienter de cetero admittetis”.
Nel 1220, per accondiscendere il volere di Onorio III, l'imperatore
Federico II promulgò leggi severe sull'estirpazione
dell'eresia.
Dopo il celebre editto contro gli eretici, promulgato nel 1231 dal
senatore Annibaldi, che iniziò una serie di persecuzioni a
Roma, vi fu un esodo di quanti erano, più o meno
giustamente, accusati avanti al tribunale dell'Inquisizione. Questi
disgraziati si rifugiarono specialmente nelle città
ghibelline, dalle quali speravano protezione, e Narni e Todi furono
quelle che maggiormente ebbero compassione dei fuggitivi e li accolsero
nelle loro città.
Nel 1235 Gregorio IX rinnovò quei decreti che aveva
già pubblicati, nel 1232, contro gli eretici e trasferitosi
a Viterbo condannò quel Giovanni da Benevento, che si
chiamava pontefice della empia setta, e fece demolire le case e le
torri di coloro che ne professavano gli errori. Ingiunse quindi ai due
vescovi di Viterbo e Toscanella di purgare le loro diocesi da questo
fermento e, dato lo stesso ordine al vescovo di Orte, deputò
due religiosi predicatori ad invigilare per tal motivo sui distretti di
Viterbo, Toscanella, Orta, Bagnorea, Castro, Soana, Amelia e Narni.
Da: “Historia ecclesiastica” dell'eminentissimo
cardinale Giuseppe Agostino Rossi – 1781.
L'inizio dell'attività inquisitoriale nell'Italia centrale
coincide con il momento in cui, nel 1254, papa Innocenzo IV affida
l'officium fidei anche all'ordine francescano, che accettò
con grande titubanza e sofferenza. Infatti sembra che le bolle
innocenziane rimanessero lettera morta sino al 1257, anno in cui san
Bonaventura, ministro generale dei Francescani, si incontrò
a Viterbo con papa Alessandro IV. E' così che i Francescani,
ottenuti molti privilegi, assumono l'ufficio di inquisitori nelle
circoscrizioni o provincie di Roma, Umbria, Marche, Toscana e Romagna,
anche se poi la loro attività finisce per concentrarsi
soprattutto in alcune città notoriamente infestate
dall'eresia catara come Rieti, Viterbo, Orvieto, Narni e Spoleto.
Fra il 1258 e il 1261 vi è una notevole quantità
di direttive papali che hanno come principale destinatario
l'inquisitore Andrea da Todi, il quale sembra agire in stretto contato
con il Pontefice e sollecitare egli stesso, più o meno
direttamente, gli interventi urgenti per l'attuazione dell'officium.
Inizialmente il mandato del frate fu limitato alla sola Umbria, dove la
sua attività è attestata particolarmente fra
Spoleto e Narni, lo si desume, per Narni, da una bolla del 1260.
Tra le prerogative che Alessandro IV aveva riconosciuto al fidato
Andrea da Todi e ai suoi colleghi nella gestione congiunta
del negotium fidei, fra la provincia umbra e quella laziale
già nel 1260, è annoverata quella della
libera gestione dei bona hereticorum in modo che il ricavato andasse
alla Chiesa di Roma. Tali somme, spettanti alla Camera Apostolica,
venivano depositate presso persone fidate, spesso mercanti, come
evidenziano alcuni casi di gestione relativi a Spoleto e Narni,
tuttavia proprio le due città umbre risultano in quegli anni
ostili all'autorità papale. Le autorità civili di
Narni erano state convocate al cospetto del Pontefice nel
1260, per il mancato rispetto delle disposizione pontificie
antiereticali e per aver favorito iniquis constitutionibus
l'eterodossia.
Da: “Inquisizione e frati minori in Romagna, Umbria e Marche
nel Duecento” in “Frati minori e
inquisizione”
Frate Benvenuto da Orvieto, dei Minori, inquisitore di orvieto, il 22
gennaio 1269 dichiara constargli da deposizioni di testimoni degni di
fede, che Guglielmo e Giovanni, figli del fu Vincenzo Blasii da Todi,
discendendo da casa eretica, favorivano e ricettavano Matteo da Narni e
soci paterini, che perciò fattili citare, e preso da loro
giuramento, essi negarono ogni cosa perciò giudicatili come
credenti, fautori e complici di eretici li condanna a perpetua infamia
e li scomunica con le solite croci e colla pubblicazione dei
beni, annullando i loro contratti.
La storia italiana del XIII secolo riporta diversi signori, grandi e
piccoli, protettori di eretici e taluno di essi anche seguace d'eresia.
Ai signori di Montoro, nella diocesi di Narni, nella seconda
metà del XIII secolo vennero, dal papa, confiscati i loro
beni mobilia et stabilia.
Ugolino di Pietro di Peregrino di Montoro era stato condannato come
eretico e fautore degli eretici nel periodo che questi vagavano per i
paesi dell'Umbria: “...Ugolini pater et Petrus Peregrini avus
vestri fuerunt heretica labe infecti...”
Il figlio Rinaldo e il nipote Uffreduccio fecero istanza nel 1270
all'inquisitore per essere assolti da tutte le pene che gravavano
ancora la loro famiglia e per poter rientrare in possesso dei beni
confiscati al loro rispettivamente padre e nonno.
Durante la vacanza della Santa Sede, per la morte di Clemente IV, frate
Nicola, dell'ordine dei frati minori di Narni e inquisitore del
Sant'Ufficio, esaminò la vertenza ed emise il suo parere, o
meglio, sentenziò in proposito alla domanda degli eredi di
Ugolino. Questa sentenza fu favorevole ai postulanti:
“...dicto fratre Nicolao sponte ac scienter pro dicta Romana
Ecclesia vobis obligantibus omnia bona vestra mobilia et stabilia iura
et actiones que tunc habebatis et habere poteratis etiam in
futurum...” e pubblicata nella chiesa di S. Francesco di
Narni in presenza di Angeluzzo Matthei (famulo) dell'inquisizione, di
Giacomo di Giovanni Attameus, di Corrado di Alviano, di Ugolino di
Alviano, di frate Egidio di Castronovo e di frate Pietro del Poggio
quali testimoni. L'atto fu rogato dal notaio Vincenzo Anastasi il 23
febbraio 1270.
Niccolò III, da Vetralla, emise un breve in data 1278, col
quale, ad istanza di quei signori di Montoro, confermava la sentenza
dell'inquisitore che li riammetteva al possesso di tutti i
loro beni e li assolveva da tutte le pene cui era stato condannato il
loro defunto parente.
A conferma della sua riabilitazione, nel 1297, Rinaldo (o Raynaldo) da
Montoro sarà podestà di Perugia:
“Nobilis miles dominus Raynaldus de Montorio de Narnia
iuravit p. officium potestatis comunis Perusii...”.
Nella Storia di san Francesco d'Assisi di PAPINI – 1827, in
riferimento al beato Valentino da Narni si trova scritto:
“...sebbene venisse da stirpe infetta e viziata, contando tra
gli antenati suoi de' patarini e manichei, contro de' quali
procedè l'inquisitore apostolico fra Niccolò da
Narni...”
1278 – Papa Niccolò III, con una lettera, conferma
una sentenza dell'inquisitore umbro Niccolò da Narni,
pronunciata sede apostolica vacante.
Nel 1304 Benedetto XI concede al vescovo Orlando alcune case confiscate
ad eretici, perchè vengano concesse ai frati domenicani:
“Domus que fuerunt quondam Cietroncielli Angeli, Leonardi
Ianne, Nicolai Thome, Massei Serapine et Guidonis Bartholomei, civium
narniensium dampnatorum de heretica pravitate, quorum bona sunt Romanae
Ecclesiae confiscata, posita in civitate narniensi, loco dictorum
prioris et fratrum vicine”.
Muzio di Francesco, uno degli esuli ghibellini di Assisi,
scacciò i guelfi dalla sua città nel 1319. Contro
Muzio allora, che riparò a Todi, avventò gli
strali l'Inquisizione. La comunità e le autorità
del Patrimonio e del Ducato dovevano fare ogni loro potere
per averlo in mano e assicurarlo in carcere. La sentenza, redatta da
Tebaldo vescovo di Assisi con istruzioni speciali del papa e dagli
inquisitori Tebaldo da Narni e Francesco da Montefalco gli attribuiva i
fatti accennati e che avesse avuto commercio carnale con monache e
ammesso che uccidere un guelfo non era una colpa.
Durante il papato di Giovanni XXII (1316-1334), una grande stagione,
definita “l'età dei processi, evidenzia il
contrasto tra il Pontefice e l'Imperatore Ludovico il Bavaro;
un contrasto radicalizzatosi sul suolo italiano. Attraverso
l'accusa di eresia, l'opposizione politica viene combattuta
utilizzando gli inquisitores haereticae pravitatis, soprattutto nei
territori sottoposti alla giurisdizione inquisitoriale dei frati minori
dell'Italia centrale.
1659 – Giustina Baldassarri Valeri di Calvi inquisita nella
Curia episcopale di Narni per aver deturpato una immagine sacra e
proferito frasi malesonanti e cioè in odore di eresia. Fu
condotta a Roma e imprigionata nelle carceri del Sant'Uffizio. Lo scopo
era quello di verificare se fosse veramente pazza, nel qual caso
sarebbe stata trasferita nell'ospedale di Santa Maria della
Pietà, cosa che di lì a poco infatti avvenne. La
Congregazione ordinò al vescovo di Narni di render pubblica
la follia di Giustina, la quale con il suo gesto doveva evidentemente
aver prodotto notevole scandalo nel suo paese.
Da: “Il governo della follia” - ROSCIONI.
FRATICELLI
Durante la seconda metà del XIV secolo la posizione dei
Fraticelli di Roma era garantita dall'amicizia di uno dei loro massimi
esponenti, un certo Pane da Firenze, con alcuni baroni romani,
specialmente col prefetto della città Giovanni di Vico,
fiero oppositore del cardinale d'Albornoz.
Da: “The nature and effect of the heresy of the
fraticelli” - DOUIE.
Ai fraticelli erano rimasti incomprensibili la missione di
universalità della Chiesa Romana formulata da Gregorio VII e
i Decretali di Giovanni XXII.
I Fraticelli a Narni abitavano alcuni locali che poi costituiranno il
nucleo dal quale verrà edificato il monastero di S.
Bernardo. Dai ricordi delle monache più anziane di questo
monastero, raccolte nella metà del seicento, si ricava che
partendo questi (i Fraticelli) vi entrarono alcune donne, che vivevano
come romite, dalle quali fu eretto il monastero di monache.
Da: “Documenti storici sopra la città di
Narni” - BRUSONI.
I Fraticelli avevano saputo che due poverelli di Cristo, uno di nome
Stefano, l'altro Petrucchio, erano stati presi a Narni e carcerati, che
anzi Petrucchio malamente era morto di fame in prigione, l'altro,
benchè da circa dodici anni conosciuto e stimato dai
narnesi, era anch'esso per mancare. Si rivolgono alle
autorità narnesi per chiedere: “A che, in Narni,
tanta persecuzione contro gente buona, che ha fatto sempre al bene,
mentre le altre città come Todi, Perugia, Assisi, Pisa e
molte altre si erano adoperate a difesa dei perseguitati liberandoli
dalle carceri e dalle mani dei Frati Minori”. Se la lettera
fu scritta dopo trent'anni dall'inizio della persecuzione contro i
Fraticelli, come sembra, allora dovrebbe appartenere allo spazio di
tempo che corse fra gli anni 1353 e 1355, poiché la
questione si agitò fra il 1322 e il 1324 con la condanna di
papa Giovanni XXII. La ingiunzione di spiegare le
costituzioni sulla povertà evangelica fu fatta dai
Fraticelli ai decretisti e ai teologi nel gennaio 1325. Gli scriventi
non dovevano essere nuovi della città di Narni se poterono
rivolgersi al Comune nominando una ad una le persone che lo
amministravano, dicendo di averli già conosciuti per gente
saputa e fior di senno. Inoltre esso affermano di essere stati meglio a
Narni che in altri luoghi, contenti di vivere elemosinando.
Da: “Una epistola dei poverelli di Cristo al comune di Narni
(1353-1355)” - FUMI – 1901.
Nel 1329 fra Giovanni da Narni affermò che tra i frati della
custodia narnese girava voce che fr. Martinus de Interamne, vicarius
eiusdem narnien. custodie, est fautor et defensor ffr. rebellium ord.
nostri et summi pontificis. Frate Martino venne inquisito e al processo
alcuni frati testimoniarono, all'inquisitore fr. Bartholinus, che nelle
custodie di Todi e Narni vi erano dei frati ribelli.
Da: “Eretici e ribelli nell'Umbria 1320- 1330” -
FUMI.
I fraticelli perseguitati e riparati in Campania si rivolsero al
podestà di Narni. La lettera è scritta
collettivamente dai perseguitati pauperculi afflicti et tribulati
propter xpum et eium veritatem; non si sa nemmeno l'anno in cui fu
scritta, ma si desume, da varie espressioni contenute, che fosse
indirizzata al comune di Narni durante il pontificato di Innocenzo VI
(1352-1362). I Fraticelli si rivolsero a tutto il comune di Narni per
perorare la causa di due di loro, che in quella città erano
stati processati e condannati. La forma dell'indirizzo, a capo la
lettera, fa pensare che quel tribunale fosse un tribunale misto, come
accadeva nei luoghi dove l'uffizio della Inquisizione non era
regolarmente stabilito o non vi potesse fungere completamente.
Fra Tommaso da Frignano, dell'ordine dei Minori e cardinale, fu tra i
primi nove teologi che nel 1364 formarono il Collegio Teologico
dell'Università di Bologna. Tra anni dopo, nel 1367, fu
elevato al General Ministero dell'Ordine, il che fu all'origine di
grandi traversie; c'erano allora funeste discordie in quell'ordine, tra
quelli che facevano professione di povertà rigorosa e quelli
che la volevano più mitigata. Tommaso era favorevole ai
primi e perciò in odio agli altri e da alcuni di questi,
cioè fra Guglielmo, vescovo di Narni, e dal ministro delle
provincie di S. Francesco fu accusato presso il Pontefice Urbano V come
seguace della eresia dei Fraticelli e perciò sospeso dal suo
ministero.
Da: “Biblioteca modenese o notizie della vita e delle opere
degli scrittori natii degli Stati del serenissimo duca di Modena
raccolte ed ordinate dal cavaliere Girolamo Tiraboschi” -
1782.
Nel 1368 papa Urbano V nomina vescovo di Narni fra Guglielmo e gli
ordina di procedere contro i Fraticelli nella valle spoletana
e a Perugia, con amplissima facoltà, come per lettere super
cuncta Roma, fra Tommaso di Amelia aiuta il vescovo nel carcerare i
Fraticelli onde è lodato e ringraziato dal papa.
Dal manoscritto Stame.
Sullo scorcio del 1367 Alfonso Pecha di Vadaterra, vescovo di Jaen,
rinunciò alla sede episcopale per farsi eremita,
andò a Perugia e fu ospite degli eremiti cenobiti di Santa
Maria del Sasso di Montemalbe. Vi giunse proprio quando, per ordine di
Urbano V, fra Guglielmo, vescovo di Narni, inquisitore de heretica
pravitate, stava facendo incetta di fraticelli, con grande disappunto
del comune di Perugia, che se ne lamentò presso il papa.
Da: “Identites franciscaines a l'age des reformes”
- MEYER, VIALLET.
|