Leandro Alberti (Bologna, 12 dicembre 1479 – Bologna, 9 aprile 1552)
è stato uno storico, filosofo e teologo italiano.
Frate
Domenicano viaggio in tutta Italia come «provinciale di Terra
Santa» - cioè compagno nelle predicazioni itineranti - del
maestro generale dell'Ordine, Tommaso De Vio e del successivo maestro
Francesco Silvestri: con quest'ultimo percorse tutta l'Italia -
nell'ottobre del 1525 era a Palermo - e la Francia dove, a Rennes, il
19 settembre 1528 morì il Silvestri.
È poi attestato, a Roma, prendere parte al capitolo generale nel giugno del 1530.
In
quel periodo passo' per Narni e vide i ponti di Narni con il nostro
ponte rifatto a Mattoni ....dopo essere stato in pietra. Quindi i
Restauri del Cardinale Eroli del 1473 furono eseguiti utilizzando
mattoni in cotto.....
Poscia
al fine dell’ansidetta via Flaminia, appare un ponte di matoni
cotti, che congiunge amendue le rive del fiume Negra per passare a
Narnia. Et quindi poco discosto pur sopra il detto fiume dimostransi
alquanti arconi sostenuti da grossissimi piloni d’un antico, et
superbo ponte fatto di grandissimi pietre quadrate con gran magisterio,
che faceva la via dalle radici del colle di qua dal detto fiume sopra
di quello all’altro colle, ove è posto Narnia.
In
vero un grandissimo edificio, come da quella parte che in piedi si vede
si può dar giudicio, del qual dice Martiale nel 6. lib.
Sed iam, parce mihi, nec abutar Narnia quinto Perpetuo liceat sic tibi Ponte frui.
Ne fa
etiandio memoria di esso Procopio nel primo lib. delle guerre de i
Gotti, dicendo non haver mai veduto le più alte volte
d’alcun ponte di quelle di questo.
Dicono
gli Narnesi che ’l fu fatto da Augusto delle spoglie de i Cimbri.
Egli haveva quattro larghi Archi, ma uno più largo de gli altri
per metà, et fu fatto con tanto arteficio che sotto
l’acque del fiume da un lato all’altro passare si poteva,
come si può giudicare. Egli è rovinato per essersi
renduto il fondamento di uno de’ pilloni. Da questo lato, avanti
che si passi il fiume antidetto (seguitando la riva di quello appresso
le radici del monte) si veggono molte scaturagini d’acque, fra le
quali ve n’è una ritrovata nell’anno del mille
cinquecento sette, che essendo bevuta da gli infermi pareano essere
sanati da qualunque infermità fossero tenuti. Là onde vi
cominciò concorrere da ogni lato gran moltitudine
d’ammalati ch’erano restituiti alla sanità, havendo
bevuto di quella. Et perciò i Narnesi volendo farvi alcune
habitationi per quelli, che quivi venivano, fecero cavar la terra, et
[96] ritrovarono fondamenti d’antichi edifici, da i quali, si
conobbe che altre volte fosse stato in pretio detta acqua. Più
avanti caminando, altre sorgivi d’acque si ritrovano. Tra le
quali ve n’è una che mai si vede uscire, eccetto
l’anno avanti che dee esser carestia, sì come intervenne
nell’anno mille cinquecento cinque, nel quale fu grandissima
carestia per tutta Italia.
Racconta ancora l'Aberti:
scopre
su l’alto, aspro, et sassoso monte l’antica città di
NARNI, da Strabone, et da tutti gli altri scrittori Narnia detta, fra i
quali vi è Antonino, Cornelio Tacito nel terzo libro
dell’historie, et nel 19. Procopio nel 3. lib. dell’historie de i Gotti, et da Plinio sono
nominati i Narnesi, [100v] et da Silio nel lib. 8. quando dice, et duro
Monti per saxa recumbens, Narnia; et da Martiale in cotal modo. Narnia
sulphureo, quam gurgite candidus amnis Citant, ancipiti vix adeunda
iugo.
Ben è vero, che Plinio, Antonino, et Livio nel 10. lib. dell’hist. scrivono, che fosse
prima dimandata Nequinum. La cagione di tal nome scrivono diversi variamente.
Et prima dicono alcuni, che traesse detto nome dall’asprezza, et difficultà del
luogo, ove ella è posta, sì come iniquo, et malvagio. Altri scrivono, come gli fu
posto tal nome, perché essendo assediata da’ nemici, et conoscendo i cittadini
esser necessario, o di morir di fame, o di cader nelle loro mani, conclusero non
voler pericolar di fame, né similmente darsi a i nemici, et così prima uccisero i
figliuoli, moglie, matri, et sorelle, et poi se stessi. Onde per tale, et tanta iniquità
gli fu posto tal nome, cioè Nequino, sì come iniquo. Così io ritrovai in un antico
libro scritto, essendo in questa città. Fu poi nominata Narnia dal fiume Nare secondo
Livio, come dimostrerò, il quale in più luoghi fa memoria di essa, et massimamente
nel 10. lib. quando dice. Essendo andato Apuleio Console a Nequino
castel dell’Umbria, l’assediò. Era questo castello sopra un aspero monte, havendo
un lato molto precipitoso, ove hora si vede Narnia. Et per tanto non era possibile
soggiugarlo per forza di battaglia. Et più in giù scrive, come ritornasse Nequino
sotto i Rom. Onde vi furono mandati nuovi habitatori contra gli Umbri, et
poi fu nomata Narnia dal fiume Nare. Et più avanti riferisce, che fosse questa
città una di quelle colonie, che rifiutarono di pagar danari, over di mandar soldati
a i R. ne’ travagliosi tempi, quando Annibale guerreggiava con loro
nell’Italia. Ella è situata questa città sopra la schiena dell’altissimo, et precipitoso,
et sassoso monte, come è detto, havendo dal mezo giorno una precipitosissima
rupe. Alle cui radici passa il fiume Negra con tanto strepito, per l’acque che
impingono ne’ grossi sassi, de’ quali è pieno quasi tutto il letto d’essa, ch’è cosa
molto fastidiosa da udire a quelli, che non vi sono consueti, et più fastidiosa è ella
per il continuo rimbombo, che risulta dallo strepito per l’altissime rupi. Ha
belli, et ameni colli dal Settentrione ornati di viti, olivi, fichi, et altri fruttiferi alberi.
Patì gran rovina ne’ tempi passati per le civili discordie per la pestilenza, et
ultimamente, per li soldati de’ Venetiani, che quivi si fermarono nel tempo che
Clemente 7. era assediato in castel S. Angelo dall’essercito di Carlo 5. Imperatore
come dicemmo, scrivendo di S. Gem. Et talmente patì, che rimase priva
d’habitatori, sì come io veridicamente narrar posso, che passando di quindi
l’anno di Christo Salvatore 1530. a pena vedevansi alcune taverne da potere alloggiare
i viandanti. Et vidi tutta la città abbandonata insieme col
palagio de’ priori (così chiamano il loro Maestrato.) Vero
è, che pur si vedevano da due, o tre botteghe aperte nella
piazza, più tosto per bisogno de’ viandanti, che per uso
della città. Certamente io non havrei mai creduto a chi me
l’havesse narrato, che ella fosse rimasa in tanta desolatione,
havendola prima veduta tanto piena di civil popolo. Vero è, che
dopo alquanto tempo di quindi passando ritornando da Roma vidi esser,
quella un poco ristorata così d’edifici, come di popolo.
Ha buon territorio così ne’ colli, come nella pianura lungo amendue le [101] rive della
Negra. Ritrovasi in questo paese della terra, che col secco diventa luto, et con la
pioggia, polvere, come scrive Cicer. nelle cose maravigliose. Alle
radici delle precipitose rupi (sopra delle quali è posta la
città) appresso la Negra veggonsi molti
sorgivi, et fontane d’acque, che hanno diverse virtù; fra le quali da una n’esce
l’acqua in tanta abondanza d’una caverna, che incontinente potrebbe rivolgere
ogni grand’artificio da macinare il grano. Vero è, ch’ella è di tanta freddezza, che
appena si può toccarla con le mani. Ritornando alla città. Ella ha generato molti
nobili ingegni, et virtuosi huomini. Et prima Giovanni 13. Pont. R. come dimostra
Petrar. ne’ suoi Pontefici, con molti altri scrittori; avvenga che dica Platina
che fosse Romano; essendo prima Vescovo di Narni. Uscirono anche d’essa Bernardo
Card. della Chiesa Ro. con Paolo di Ciesa similmente Card. huomo dotto,
et amator dell’antichitati, come si poteva veder nel palagio, ove
habitava in Roma, che da ogni lato belle, vaghe, et antiche statue,
avelli, apitafi, et altre simili cose si vedeano. Passò
tant’uomo con mestitia di tutti virtuosi all’altra vita in
Roma, nel 1537. Vive hora Federico fratello di detto Paolo di Ciesi,
fatto Cardinale da Paolo 3. Papa per le sue buone qualità, et
virtù. Furono cittadini d’essa
città Bernardo Cardulo Vescovo, con Angelo, et Ottaviano di
Ciesa, amendue Vescovi, cioè il padre, et il figliuolo. Nacque
in questa città Francesco Cardulo huomo di grande ingegno, et
letterato, il quale havea tanta apprensione, et memoria, che udendo
leggere due gran pagine d’un libro, non più da lui vedute,
una volta, il tutto ispeditamente recitava, sì come havesse il
libro davanti, et essendoli replicato, cominciando dall’ultima
parola adietro ritornando insino alla prima con non meno
facilità recitava il tutto, sì come havea avanti
recitato. Assai isperienze della sua apprensione, et memoria fece, che
lungo sarei in descriverle.
Fu molto ben dotato dalla Natura così de’ beni del corpo,
come etiandio dell’animo, conciosia cosa, che era di magnifico
aspetto, et molto eloquente. Et per tanto fu molto apprezzato nella
corte di Roma, et da molti Prencipi della Cristianità. Li rimase
Marco suo fratello, anch’egli huomo dotto, buono, et di gran
memoria. Et essendo mio domestico, assai isperienza, della sua
apprensione, et memoria vidi farli. Produsse anche Narni Galeoto
dignissimo Oratore, et
Filosofo, come vedere si può in quei libri i quali scrisse
dell’huomo interiore, o sia dell’anima, et delle potentie
di quella, et anche del corpo. Et perché volse dimostrare sapere
oltre a quello li conveniva, fu notato in alcuni luoghi partirsi dalla
fede Ortodossa. Hanno illustrato anche questa città Massimo
Arcano huomo letterato, et costumato. Et hora illustrano questa Michel
Angelo Atrono
huomo dotto, et virtuoso, che lungo tempo fu segretario di assai sua città. Assai
potrebbe dimorare nella narratione delle virtuti di esso, se non pensasse esser
riputato troppo affettionato a lui, per la gran dimestichezza
già lungo tempo perseverata fra noi. Et Pierdomenico Scotto, con
Fabio Cardulo, amendue virtuosi huomini.
Diede
grande ornamento a questa città Gattamelata valoroso capitano
de’ soldati de Venetiani. Il quale acquistò Padova a
quelli, per la cui memoria vi fece porre una statua di metallo il
Senato Venetiano nella città di Padova, che insino ad oggi si
vede.
Assai
altri virtuosi huomini hanno avuto origine [101v] da Narni, che sarei
molto lungo in rimembrarli. Uscendo fuori della città, et
seguitando la via Flaminia, incontinente vedesi il sassoso monte col
ferro tagliato per poter passare fra le precipitose rupi del fiume
Negra, et l’alto monte dalla sinistra. Veramente ella è
cosa maravigliosa a considerare sfaldato il sasso
in alto da 30. piedi, et da 15. in largo, et anche più.
Vedesi
alla destra uno spaventevole precipitio, al cui fine passano con grande
strepito per li sassi l’acque della Negra. Più oltra
caminando fra i monti in qua, et in là sopra gli ameni colli,
scorgonsi alquanti castelletti.
Sono questi vaghi colli per maggior parte ornati di viti, olivi, fichi, et d’altri alberi producevoli di frutti.
Anche
quivi vegonsi alcune stopie dalle quali pendono ne’ tempi idonei
l’uva passarina (così dagli habitatori del paese nominata
quella uva picciola di granelle senza accino) la qual seccata
molto artificiosamente, ella è portata a Roma, et è
istimata assai pretiosamente, tanto quanto quella ch’è
condotta di Napoli di Romania. Vero è, che quella è
negra, et questa bianca.
Seguitando
pur la via antidetta, fra quei colli, talmente di fruttiferi alberi
addobbati, si giunge ad Otriculo da Strabone Ocriculum nominato, et
parimente da Antonino, et da Tolomeo nel testo nuovo, non essendo
nell’antico memorato, ma da Corn. Tacito nel 19.
dell’historie, è detto Otriculum, et da Plinio nella sesta
Regione sono nominati gli Otriculani. Egli è questo Castello
posto sopra un colle circa un miglio vicino al Tevere. Ne fa memoria de
gli Otriculani Liv. nel 9. lib. dicendo come furono ricevuti gli
Otriculani nell’amicitia da’ Romani con buone
promissioni.
Lapide torretta
La
lapide della torretta, viene riportata la prima volta dal Brusoni, che
come sappiamo vive nella seconda metà del 1700, il disegno viene
ripreso da Giovanni Eroli, che ci racconta come nel 1473 il
Cardinale Berardo Eroli fece restaurare il ponte medioevale, nel
periodo di Sisto IV pontefice. Questo ci racconta il disegno con gli
stemmi del Cardinale Eroli e di Sisto IV, con la scritta del
Brusoni che ci dice anche:
“In mezzo al ponte
vicino alla chiesa della Madonna del Ponte di Narni, dove vi è
la seguente memoria”. Viene sotto riportato la data in
numeri romani 1473 il giorno due Marzo.
Guardando le molte immagini del ponte, questo particolare non
viene quasi mai riportato. Ma Vedendo con attenzione si nota che in una
incisione del 1794 torretta con lapide di Smith Iohn, si nota
ancora una lapide sulla torretta nel lato della Madonna del Ponte.
Questo fatto era abbastanza usuale, infatti le lapidi venivano messe
dal lato di chi entrava in città, e quindi finalmente ora
sappiamo dove era la lapide. Altra ipotesi credibile è che il
Brusoni la vide sul ponte, poco prima dell’arrivo delle truppe
francesi che intorno al 1798 arrivarono anche a Narni. Come sappiamo i
Francesi usavano togliere tutti gli stemmi nobiliari e legati al papa,
quindi è presumibile che abbiano fatto anche qui, come nel resto
del paese di Narni, che resta privo di ogni stemma nobiliare che in
molti casi fu fatto anche martellare, ove non era possibile e facile
toglierlo.
Nelle successive immagini del ponte e della torretta, la lapide non si
vede più quindi è presumibile, che tale lapide
restò a lungo nel suo luogo sulla torretta, dal 2 Marzo
1473 fino al 1798.
Giuseppe Fortunati
http://www.narnia.it/pontenuovo.html
http://www.narnia.it/formina.html
http://www.narnia.it/guida/augusto.htm
sito narnia umbria
Martinelli
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